La toxoplasmosi in gravidanza rappresenta una particolare preoccupazione, perché l’infezione, se acquisita per la prima volta dalla madre durante questo periodo, può essere trasmessa al feto attraverso la placenta.
Come vedremo più nel dettaglio, la gravità e la probabilità di questa trasmissione dipendono dall’epoca gestazionale in cui avviene l’infezione materna, ma le conseguenze per il feto possono essere gravi, includendo aborto spontaneo, ritardo di crescita, morte fetale intrauterina, parto pretermine o malformazioni.
Purtroppo, ad oggi non esiste un vaccino per prevenire l’infezione, per questo è molto importante seguire alcune raccomandazioni in gravidanza e sottoporsi a controlli ricorrenti durante la gestazione, al fine di individuarla precocemente e intervenire in modo tempestivo.
Di cosa parliamo in questo articolo
- Cos’è la toxoplasmosi?
- Toxoplasmosi in gravidanza: i rischi per il feto
- Come si contrae il toxoplasma?
- Quali sono i sintomi della toxoplasmosi?
- Sintomi in soggetti sani
- Sintomi in soggetti immunodepressi
- Sintomi della toxoplasmosi congenita (nel feto e nel neonato)
- Come si diagnostica la toxoplasmosi in gravidanza?
- Lo screening materno: il Toxo-test
- Test di approfondimento per datare l’infezione
- La diagnosi fetale
- Conferma dell’infezione fetale: l’amniocentesi
- La diagnosi nel neonato
- Come si cura la toxoplasmosi in gravidanza?
- 1. Spiramicina: la barriera protettiva
- 2. Pirimetamina-Sulfadiazina (PS): la terapia per il feto
- Terapia nel neonato e allattamento
- Come prevenire l’infezione in gravidanza: consigli utili e raccomandazioni
- Domande frequenti (FAQ)
Cos’è la toxoplasmosi?
La toxoplasmosi è un’infezione causata dal Toxoplasma gondii, un protozoo parassita ubiquitario, diffuso in tutto il mondo.
Questo microrganismo può infettare un’ampia varietà di animali, tra cui mammiferi, uccelli e rettili.
Si stima che circa un terzo della popolazione mondiale ne sia interessato; in Italia, la sieroprevalenza tra gli adulti si attesta intorno al 20-30% (fonte Associazione Microbiologi Clinici Italiani ETS), il che lascia circa il 70% delle future madri suscettibile a una prima infezione.
Nella maggior parte delle persone con un sistema immunitario efficiente, l’infezione da Toxoplasma gondii è asintomatica o si manifesta con sintomi leggeri e generici, molto simili a quelli di un’influenza. Questi possono includere un lieve ingrossamento dei linfonodi, stanchezza, febbricola, mal di testa e una generale sensazione di malessere.
Ben diversa è la situazione nei soggetti immunocompromessi (come in caso di AIDS, trapianti o terapie immunosoppressive). In queste persone, l’infezione può riattivarsi o presentarsi con manifestazioni gravi, colpendo organi vitali come l’occhio (corioretinite) o il sistema nervoso centrale (encefalite), con esiti che possono essere letali in assenza di trattamento.
Una volta contratta, l’infezione induce una risposta immunitaria con la produzione di anticorpi specifici. Superata la fase acuta, il parassita rimane incistato nei tessuti (come muscoli e cervello) in uno stato latente, che dura per tutta la vita. Questa condizione, del tutto innocua per chi ha un sistema immunitario sano, conferisce un’immunità permanente che protegge da future reinfezioni.
Toxoplasmosi in gravidanza: i rischi per il feto
La toxoplasmosi diventa una seria minaccia durante la gravidanza. Se una donna contrae l’infezione per la prima volta durante la gestazione, infatti, il parassita può attraversare la placenta e raggiungere il feto.
I rischi per il feto e il neonato sono significativi:
- danni congeniti: l’infezione può causare gravi danni al nascituro, come malformazioni, lesioni cerebrali e idrocefalia;
- esiti avversi della gravidanza: può compromettere la gestazione portando a ritardo di crescita fetale, parto prematuro, aborto spontaneo o morte intrauterina;
- conseguenze tardive: alcuni bambini, pur apparendo sani alla nascita, possono sviluppare sintomi a distanza di mesi o anni, come crisi convulsive, deficit cognitivi o problemi alla vista. Queste sequele sono più frequenti e gravi quando il trattamento è inadeguato o assente;
- organi colpiti: le manifestazioni più comuni nel neonato interessano il sistema nervoso centrale (con calcificazioni, idrocefalia e convulsioni) e l’occhio. La corioretinite è la patologia oculare più temuta, potendo causare un grave offuscamento della vista fino alla cecità.
La probabilità di trasmettere l’infezione al feto dipende dall’epoca gestazionale del contagio: è inferiore al 2% all’inizio della gravidanza ma sale a oltre il 60% nel terzo trimestre. La gravità del danno, tuttavia, segue un andamento inverso: le infezioni contratte nelle prime settimane causano le conseguenze più gravi, mentre quelle tardive sono spesso asintomatiche alla nascita.
Poiché nella maggior parte dei casi l’infezione nella madre è asintomatica o si manifesta con sintomi lievi, la sua diagnosi senza uno screening specifico è difficile. Per questa ragione, identificare tempestivamente l’infezione acuta nella gestante è fondamentale per avviare subito la terapia e ridurre così la frequenza e la gravità della toxoplasmosi congenita.
Come si contrae il toxoplasma?
Il contagio da toxoplasmosi avviene quasi sempre ingerendo accidentalmente il parassita Toxoplasma gondii.
Le vie di trasmissione più comuni sono le seguenti:
- carne cruda o poco cotta: questa rappresenta una delle principali fonti di infezione, poiché il parassita può trovarsi in forma di cisti nei muscoli di animali come bovini, ovini e suini. Per neutralizzarlo, è fondamentale cuocere la carne a fondo. Anche salumi crudi o insaccati con una stagionatura inferiore ai 30 giorni sono considerati a rischio, ed è sconsigliato assaggiare la carne durante la preparazione;
- frutta e verdura non lavate: le oocisti del parassita possono contaminare frutta e verdura attraverso il terriccio. Per questo, è cruciale lavare tutto con estrema cura, specialmente i prodotti che crescono a contatto con il suolo (come le fragole), assicurandosi di rimuovere ogni residuo di terra;
- terriccio e lettiera del gatto: il gatto è l’ospite definitivo del Toxoplasma e libera le oocisti con le feci. Queste diventano infettive nel terreno dopo 1-5 giorni. Il contagio può avvenire portando le mani sporche di terra (ad esempio dopo aver fatto giardinaggio) o di lettiera alla bocca, al naso o agli occhi. È quindi buona norma usare sempre i guanti e lavarsi bene le mani. Il rischio si riduce notevolmente per i gatti che vivono esclusivamente in casa e si nutrono di cibi cotti o industriali;
- acqua contaminata: anche l’ingestione di acqua non potabile, specialmente se proveniente da fonti esposte a contaminazione fecale, può essere una causa di infezione;
- contaminazione crociata in cucina: durante la preparazione dei cibi, il parassita può trasferirsi da alimenti crudi a cotti o ad altri ingredienti attraverso utensili e piani di lavoro. È importante tenere separati i cibi e lavare sempre con acqua calda e sapone le superfici e gli strumenti venuti a contatto con alimenti crudi.
Meno frequentemente, il contagio può avvenire anche tramite:
- trasmissione verticale da madre a feto: se una donna contrae la sua prima infezione durante la gravidanza, può trasmetterla al feto attraverso la placenta;
- trasfusioni o trapianti: in rari casi, il parassita può essere trasmesso con sangue o organi provenienti da un donatore infetto;
- insetti: anche mosche e scarafaggi possono agire da vettori meccanici del parassita, per cui è importante mantenere l’ambiente domestico pulito.
Come già spiegato prima, una volta contratta, l’infezione conferisce un’immunità permanente che protegge da future reinfezioni. Tuttavia, nei soggetti con un sistema immunitario debole, un’infezione passata può riattivarsi.
Quali sono i sintomi della toxoplasmosi?
La sintomatologia della toxoplasmosi cambia notevolmente in base allo stato immunitario della persona e al momento del contagio, specialmente se questo avviene durante la gravidanza.
Sintomi in soggetti sani
Come già accennato prima, nella maggior parte degli individui con un sistema immunitario sano, l’infezione da Toxoplasma gondii è asintomatica o si manifesta con sintomi leggeri e aspecifici, del tutto simili a un’influenza o a una mononucleosi.
Dopo un’incubazione che può variare da pochi giorni a qualche settimana, i sintomi, se presenti, tendono a risolversi spontaneamente.
Tra i più comuni si riscontrano:
- ingrossamento indolore dei linfonodi (spesso del collo);
- stanchezza e spossatezza;
- febbricola, mal di testa, mal di gola;
- un malessere diffuso con dolori muscolari.
Raramente possono insorgere complicazioni più serie, come l’infiammazione dell’occhio (corioretinite) o del cervello. Una volta superata la fase acuta, l’organismo sviluppa un’immunità permanente.
Sintomi in soggetti immunodepressi
Nelle persone con difese immunitarie indebolite (a causa di AIDS, cancro, trapianti o terapie immunosoppressive), la toxoplasmosi è molto più pericolosa. L’infezione, anche se contratta in passato, può riattivarsi con conseguenze gravi e potenzialmente letali.
Le manifestazioni dipendono dall’organo colpito:
- toxoplasmosi cerebrale (encefalite): è la forma più comune. Può causare debolezza, disturbi del linguaggio e della vista, cefalea, stato confusionale, crisi convulsive e persino il coma;
- toxoplasmosi oculare (corioretinite): l’infiammazione dell’occhio provoca vista offuscata, dolore, sensibilità alla luce e può portare alla cecità;
- toxoplasmosi disseminata: il parassita si diffonde in tutto il corpo, causando eruzioni cutanee, febbre, problemi respiratori e affaticamento, con il rischio di infiammazioni a polmoni, cuore e fegato.
Sintomi della toxoplasmosi congenita (nel feto e nel neonato)
La toxoplasmosi contratta in gravidanza rappresenta una seria minaccia per il feto, e la gravità dei danni è inversamente proporzionale all’epoca del contagio: le infezioni contratte nel primo trimestre sono le più pericolose, anche se meno probabili, e possono causare aborto spontaneo, morte intrauterina, ritardo di crescita e gravi danni al sistema nervoso centrale, come idrocefalia (accumulo di liquido nel cervello), lesioni e calcificazioni cerebrali.
Al contrario, le infezioni del terzo trimestre, pur avendo una maggiore probabilità di trasmissione al feto (oltre il 60%), sono spesso asintomatiche alla nascita.
Circa l’85% dei neonati con toxoplasmosi congenita non mostra alcun sintomo alla nascita. Quando presenti, i segni clinici coinvolgono soprattutto l’occhio e il sistema nervoso centrale.
- manifestazioni neurologiche: includono calcificazioni cerebrali, idrocefalia, convulsioni e microcefalia (testa più piccola del normale);
- manifestazioni oculari: la più comune è la corioretinite, un’infiammazione che può portare a vista offuscata e persino alla cecità. Possono verificarsi anche strabismo, cataratta o atrofia del nervo ottico;
- altri sintomi: meno specifici, possono comprendere ittero, ingrossamento di fegato e milza, eruzioni cutanee e tendenza alle ecchimosi.
Un rischio significativo è rappresentato dalle sequele tardive: alcuni bambini, pur apparendo sani, possono sviluppare a distanza di mesi o anni problemi visivi, deficit cognitivi o crisi convulsive. Queste conseguenze sono più gravi e frequenti in assenza di un trattamento adeguato. Una terapia tempestiva, invece, può migliorare notevolmente la prognosi e lo sviluppo neurologico del bambino.
Come si diagnostica la toxoplasmosi in gravidanza?
Diagnosticare la toxoplasmosi in gravidanza è fondamentale per prevenire la trasmissione al feto e le sue gravi conseguenze. Poiché l’infezione nella madre è quasi sempre asintomatica, l’unico modo per individuarla è attraverso specifici esami del sangue.
Lo screening materno: il Toxo-test
Il Toxo-test è un prelievo di sangue che rileva la presenza di anticorpi specifici (IgG e IgM) contro il Toxoplasma gondii.
L’ideale sarebbe eseguirlo prima del concepimento o, al più tardi, entro le prime 10 settimane di gestazione per definire subito lo stato immunitario della donna.
In Italia, lo screening è raccomandato e gratuito: viene ripetuto ogni 4-6 settimane fino al termine della gravidanza per le donne non immuni.
Per approfondire, consigliamo di leggere anche il nostro articolo Quali esami fare in gravidanza mese per mese?.
Come si interpretano i risultati?
- donna suscettibile (IgG e IgM negative): indica che la donna non ha mai contratto l’infezione e non è immune. Deve seguire scrupolosamente le norme di prevenzione e ripetere il test mensilmente;
- donna immune (IgG positive, IgM negative): significa che un’infezione passata ha conferito un’immunità permanente. La donna è protetta e non necessita di ulteriori controlli;
- quadro dubbio (IgG negative, IgM positive): potrebbe indicare un’infezione all’esordio o una falsa positività. Il test va ripetuto dopo 15-20 giorni per verificare la comparsa delle IgG e confermare il contagio;
- quadro da approfondire (IgG e IgM positive): questa situazione richiede esami più specifici per datare l’infezione, poiché le IgM possono persistere per mesi senza indicare necessariamente una fase acuta.
Test di approfondimento per datare l’infezione
Quando il quadro sierologico è incerto, si ricorre a test più avanzati per capire se l’infezione è recente.
Il più importante è il Test di Avidità delle IgG, che misura la “forza” del legame tra anticorpi e parassita: un’alta avidità esclude un’infezione recente, rassicurando sulla salute del feto, soprattutto se riscontrata nel primo trimestre. Altri test, come il Western-Blot, aiutano a confermare la specificità degli anticorpi.
In caso di infezione accertata o anche solo sospetta, è cruciale rivolgersi a un centro specialistico di riferimento.
La diagnosi fetale
Se viene diagnosticata un’infezione materna in gravidanza, il percorso si concentra sul verificare se il contagio sia stato trasmesso al feto.
Il feto viene monitorato con ecografie specialistiche regolari, eseguite da operatori esperti. I segni che possono suggerire un’infezione includono anomalie cerebrali (come ventricolomegalia o calcificazioni), ingrossamento di fegato e milza o un ritardo di crescita.
Tuttavia, l’ecografia da sola non è sufficiente, poiché la sua sensibilità è limitata (circa 40%) e le anomalie possono comparire tardivamente. In casi selezionati, la Risonanza Magnetica Fetale (RMF) può fornire informazioni aggiuntive.
Conferma dell’infezione fetale: l’amniocentesi
L’amniocentesi è l’esame più affidabile per confermare il contagio. Tramite un prelievo di liquido amniotico, si cerca il DNA del parassita con una tecnica molecolare (PCR).
Per garantire la massima attendibilità, la procedura viene eseguita non prima di 18 settimane di gestazione e almeno 4-6 settimane dopo l’infezione materna. Una PCR positiva rende la diagnosi di toxoplasmosi congenita pressoché certa e guida le successive scelte terapeutiche.
La diagnosi nel neonato
Tutti i neonati nati da madri con infezione accertata o sospetta in gravidanza vengono sottoposti a un protocollo di controlli, poiché circa l’85% di quelli infetti è asintomatico alla nascita.
Alla nascita, vengono eseguiti un esame del fondo oculare e un’ecografia cerebrale per individuare eventuali lesioni. Esami più complessi come la risonanza magnetica o la TAC cerebrale sono riservati a casi con sintomatologia neurologica evidente.
La diagnosi sierologica nel neonato è complessa perché le IgG della madre attraversano la placenta. La loro semplice presenza nel sangue del bambino non indica un’infezione attiva. I veri indicatori di un’infezione congenita sono la presenza di anticorpi IgM e IgA prodotti dal neonato stesso o la persistenza delle IgG oltre l’anno di vita. Tecniche come il Western-Blot comparativo mamma-neonato sono molto utili per distinguere precocemente gli anticorpi materni da quelli fetali.
Per i neonati con una diagnosi incerta, è previsto un monitoraggio sierologico periodico fino all’anno di età. Il progressivo calo e la scomparsa degli anticorpi IgG escludono definitivamente l’infezione.
Un approccio diagnostico tempestivo e accurato è cruciale per avviare il trattamento più appropriato e migliorare significativamente la prognosi del bambino.
Come si cura la toxoplasmosi in gravidanza?
Il trattamento della toxoplasmosi in gravidanza è una corsa contro il tempo, fondamentale per proteggere il feto da gravi complicanze.
La tempestività è tutto: iniziare il trattamento entro poche settimane dal contagio è decisivo per la sua efficacia.
In gravidanza si seguono principalmente due protocolli terapeutici.
1. Spiramicina: la barriera protettiva
La spiramicina è il farmaco di prima scelta per prevenire la trasmissione dell’infezione al feto.
Il suo scopo è agire come una barriera protettiva: si concentra nella placenta, ostacolando il passaggio del parassita dalla madre al bambino. Per questo è cruciale iniziare la terapia il prima possibile, non appena viene diagnosticata l’infezione materna. Se l’amniocentesi conferma che il feto non è stato contagiato, il trattamento con spiramicina prosegue fino al parto.
Questo farmaco non cura il feto se l’infezione è già avvenuta, poiché non attraversa la barriera placentare.
Generalmente è un farmaco ben tollerato, anche se può causare disturbi gastrointestinali (come nausea e diarrea), che possono essere alleviati assumendolo durante i pasti.
2. Pirimetamina-Sulfadiazina (PS): la terapia per il feto
Questa potente combinazione di farmaci viene utilizzata quando l’infezione ha già raggiunto il feto (confermato dall’amniocentesi) o quando il contagio materno avviene nel secondo o terzo trimestre.
A differenza della spiramicina, questo trattamento attraversa la placenta e agisce direttamente sul feto, rappresentando una vera e propria terapia intrauterina. Per contrastare i suoi effetti tossici sulla produzione di cellule del sangue, deve essere sempre associato a un supplemento di acido folinico.
La terapia con PS è più pesante per la madre e comporta un rischio maggiore di effetti collaterali, tra cui reazioni allergiche e disturbi a carico di fegato e reni. Per questo motivo, richiede un attento monitoraggio medico e non viene utilizzata prima della 14ª settimana di gestazione, a causa dei potenziali rischi per lo sviluppo fetale.
Il trattamento prosegue fino a circa due settimane prima del parto, quando si torna alla spiramicina per evitare possibili effetti tossici sul neonato.
Terapia nel neonato e allattamento
Il percorso terapeutico non si conclude con la nascita. I neonati con infezione congenita accertata ricevono un trattamento specifico (solitamente a base di pirimetamina e sulfadiazina) per circa un anno, al fine di prevenire la comparsa di conseguenze tardive.
Seguire queste terapie durante la gestazione non impedisce l’allattamento al seno.
Come prevenire l’infezione in gravidanza: consigli utili e raccomandazioni
Il trattamento della toxoplasmosi in gravidanza è cruciale, ma altrettanto fondamentale è adottare misure preventive per evitare l’infezione, dato che attualmente non esiste un vaccino che la possa prevenire in maniera assoluta.
La prevenzione può essere effettuata a vari livelli, con particolare attenzione alle norme igienico-alimentari.
Vediamo, allora, alcune delle principali precauzioni da adottare per prevenire l’infezione da Toxoplasma gondii in gravidanza:
- gestione della carne e degli alimenti:
- cuocere sempre molto bene la carne prima del consumo, anche all’interno, fino a una temperatura di 74-77 °C. Uno studio multicentrico europeo ha indicato la carne poco cotta come la fonte più probabile di infezione nelle donne gravide;
- evitare il consumo di carne cruda o poco cotta, inclusi i salumi crudi (come insaccati non stagionati, in particolare se prodotti a livello familiare). Il prosciutto cotto e la mortadella sono considerati sicuri;
- evitare il consumo di frutti di mare crudi, latte non pastorizzato e uova crude;
- per il sushi e il pesce crudo, sebbene non veicoli la toxoplasmosi, è importante verificare che sia stato congelato per almeno 24 ore a -20 °C per prevenire altri tipi di infezioni;
- non assaggiare la carne mentre la si prepara o in fase di cottura.
- pulizia di frutta e verdura:
- lavare accuratamente frutta e verdura (meglio se sfregate) sotto acqua corrente prima del consumo, e se necessario con bicarbonato o altri prodotti, rimuovendo residui di terra. Prestare particolare attenzione alla frutta che cresce a contatto con la terra (es. fragole) e alle verdure dell’orto.
- evitare di bere acqua non potabile, soprattutto in paesi in via di sviluppo.
- igiene personale e della cucina:
- lavarsi sempre le mani con acqua e sapone prima di mangiare e dopo aver toccato carne cruda, frutta e verdura non lavate, terra/sabbia o lettiere dei gatti. Questo è cruciale prima di toccarsi la bocca o gli occhi;
- pulire accuratamente le superfici della cucina e gli utensili venuti a contatto con carne cruda o frutta e verdura non lavate, per evitare cross-contaminazioni con alimenti pronti per il consumo. Non mescolare alimenti di origine animale crudi con alimenti cotti o vegetali da consumarsi crudi.
- contatto con terriccio e giardinaggio:
- usare sempre guanti di gomma in tutte le attività che possono comportare il contatto con materiali potenzialmente contaminati con le feci del gatto, come il giardinaggio, l’orticoltura o la pulizia della lettiera del gatto.
- lavare bene le mani una volta concluse tali operazioni.
- gestione dei gatti domestici:
- sebbene il gatto sia il serbatoio naturale di toxoplasma gondii, il suo ruolo nella trasmissione diretta all’uomo è marginale, specialmente se domestico. Non è necessario allontanare il gatto di casa;
- evitare il contatto con le feci di gatto;
- affidare ad altri la pulizia della lettiera. Se la donna incinta deve farlo, utilizzare guanti monouso e lavarsi bene le mani dopo;
- rinnovare la lettiera quotidianamente (o il più frequentemente possibile) e igienizzare il contenitore con acqua bollente per almeno 5 minuti, poiché le oocisti diventano infettanti solo dopo 1-5 giorni dall’emissione con le feci;
- alimentare l’animale con cibi cotti o in scatola ed evitare che esca di casa per evitare che cacci animali infetti (come roditori o uccelli) o consumi carni crude;
- evitare i cuccioli di gatto e i gatti randagi, poiché hanno una maggiore probabilità di essere infetti;
- non accogliere un nuovo gatto in casa durante la gravidanza.
- altre precauzioni:
- eliminare dalla propria abitazione veicoli animali come mosche e scarafaggi;
- evitare viaggi al di fuori dell’Europa e del Nord America.
Facendo attenzione durante la gravidanza si riduce sensibilmente il rischio di infezione, quindi è importante seguire con cura queste raccomandazioni.
Domande frequenti (FAQ)
La toxoplasmosi è un’infezione causata da un protozoo parassita chiamato Toxoplasma gondii. Questo microrganismo può infettare molti animali e, nell’uomo, l’infezione è spesso asintomatica o causa sintomi lievi simili all’influenza, come ingrossamento delle ghiandole linfatiche, stanchezza, mal di testa o febbre.
Ci si infetta principalmente attraverso l’ingestione di carne cruda o poco cotta contenente cisti del parassita. Altre vie includono l’ingestione di acqua, frutta, verdura o molluschi contaminati, o il contatto con terra contaminata da feci di gatto. Raramente, può avvenire tramite trasfusioni di sangue o trapianti d’organo.
Se contratta per la prima volta in gravidanza, l’infezione può passare dalla madre al feto attraverso la placenta. Questo può causare malformazioni, ritardo di crescita, aborto spontaneo, morte fetale o problemi nel neonato come difetti congeniti, problemi della vista, crisi convulsive o deficit cognitivi. Le conseguenze più gravi si verificano se l’infezione è contratta nelle prime settimane di gestazione.
No, allo stato attuale non esiste un vaccino che possa prevenire la toxoplasmosi in maniera assoluta. La prevenzione si basa sull’adozione di comportamenti e pratiche igienico-alimentari per ridurre significativamente il rischio di contagio.
È fondamentale cuocere sempre molto bene la carne (a 74-77 °C). Bisogna evitare il consumo di carne cruda o poco cotta e salumi crudi non stagionati; prosciutto cotto e mortadella sono considerati sicuri. Si devono evitare anche frutti di mare crudi, latte non pastorizzato e uova crude.
Frutta e verdura, soprattutto quelle che crescono a contatto con la terra (es. fragole) o quelle dell’orto, devono essere lavate accuratamente sotto acqua corrente. Si può utilizzare bicarbonato o altri prodotti e sfregarle bene per rimuovere residui di terra.
Non è necessario allontanare il gatto di casa, in quanto il suo ruolo nella trasmissione diretta all’uomo è marginale, specialmente se domestico e ben curato. Le precauzioni principali riguardano le sue feci:
– Evitare il contatto diretto con le feci di gatto.
– Affidare ad altri la pulizia della lettiera; se si deve fare, usare sempre guanti monouso e lavarsi bene le mani dopo.
– Rinnovare la lettiera quotidianamente e igienizzare il contenitore con acqua bollente, poiché le oocisti diventano infettanti solo dopo 1-5 giorni.
– Alimentare il gatto con cibi cotti o in scatola ed evitare che esca e cacci.
– Evitare i cuccioli e i gatti randagi, e non accogliere un nuovo gatto in casa durante la gravidanza.
Quando si fa giardinaggio o qualsiasi attività che comporti il contatto con il terriccio, è fondamentale usare sempre guanti di gomma. Dopo aver concluso, lavarsi accuratamente le mani con acqua e sapone prima di toccare bocca, occhi o cibi.
Sì, è importante lavarsi sempre le mani con acqua e sapone prima di mangiare e dopo aver toccato carne cruda, frutta e verdura non lavate, terra o lettiere di gatti. Pulire accuratamente le superfici della cucina e gli utensili venuti a contatto con alimenti crudi per evitare cross-contaminazioni. Evitare l’acqua non potabile, specie in paesi in via di sviluppo.
Si può eseguire un semplice esame del sangue chiamato Toxo-test (ricerca di anticorpi IgG e IgM anti-Toxoplasma).
Se risulti IgG positive e IgM negative, significa che l’infezione è avvenuta in passato e hai l’immunità. Non sono necessari ulteriori controlli.
Se risulti IgG e IgM negative, non sei mai venuta a contatto con il parassita e sei suscettibile. In questo caso, è consigliato ripetere il test ogni 4-5 settimane fino a un mese dopo il parto e seguire attentamente le norme igienico-alimentari.
Se risulti IgG positive e IgM positive, sono necessari ulteriori esami di approfondimento, come il test di avidità delle IgG, per determinare se l’infezione sia recente.
È ideale effettuare questo screening prima del concepimento o entro il primo trimestre di gravidanza.