Come si gestisce l’ipertensione resistente

da | Mar 19, 2025 | Salute

L’ipertensione resistente (o refrattaria) è una condizione clinica in cui la pressione arteriosa rimane al di sopra dei livelli raccomandati nonostante l’aderenza a modifiche dello stile di vita adeguate e a una terapia farmacologica appropriata. 

Questa condizione è particolarmente complessa da diagnosticare e da trattare, e presenta un rischio di complicanze gravi maggiore rispetto alla classica pressione alta

Approfondiamo insieme, e cerchiamo di capire in cosa consiste l’ipertensione resistente, quali sono le cause e come si cura

Come viene definita l’ipertensione resistente?

Per capire in cosa consiste l’ipertensione resistente possiamo partire dalla definizione proposta dalla SIIA – Società Italiana dell’Ipertensione Arteriosa:

“L’ipertensione arteriosa resistente è una condizione clinica caratterizzata da un persistente mancato raggiungimento dei valori normali di pressione arteriosa clinica (pressione arteriosa <140/90 mmHg nella popolazione generale di pazienti con ipertensione arteriosa e <130/80 mmHg nei pazienti con diabete mellito o nefropatia) a seguito dell’implementazione documentata delle modificazioni dello stile di vita e dell’impiego della migliore terapia possibile, comprendente l’associazione di almeno tre classi di farmaci antipertensivi ad azione sinergica ed a dosaggio ottimale, una delle quali deve essere un diuretico a dosaggio pieno.”

Questa definizione tende a variare leggermente a livello internazionale, a seconda delle linee guida a cui si fa riferimento. Ad esempio, le linee guida inglesi considerano resistenti i pazienti i cui valori pressori non scendono al di sotto del target nonostante l’assunzione di 4 o più antipertensivi. L’American Heart Association (AHA), più di recente, ha incluso nella definizione anche pazienti la cui pressione arteriosa raggiunge i valori target con l’uso di ≥4 farmaci antipertensivi (ipertensione resistente controllata). 

Nonostante queste lievi differenze, resta il concetto di base, secondo il quale si può parlare di ipertensione resistente quando la pressione arteriosa rimane alta nonostante stili di vita corretti e terapie farmacologiche in corso

Quali sono i criteri diagnostici?

I criteri diagnostici principali per l’ipertensione resistente si basano sul mancato raggiungimento dei valori pressori raccomandati nonostante un trattamento farmacologico appropriato. 

Nello specifico, si può giungere ad una diagnosi in presenza di: 

  • valori pressori non controllati: la pressione arteriosa rimane al di sopra di determinati limiti nonostante la terapia. Questi limiti sono generalmente definiti come ≥140/90 mmHg nella popolazione generale di pazienti ipertesi e ≥130/80 mmHg nei pazienti con diabete mellito o nefropatia;
  • terapia farmacologica: il paziente deve assumere almeno tre (o 4, a seconda delle linee guida a cui si fa riferimento) classi di farmaci antipertensivi a dosi adeguate (o massime/massimamente tollerate). Una di queste classi deve essere un diuretico a dosaggio pieno o idealmente incluso nel regime terapeutico;
  • aderenza alla terapia: è fondamentale che il paziente sia aderente al regime terapeutico prescritto e alle modifiche dello stile di vita raccomandate. La mancata aderenza può portare a quella che viene definita “pseudo-resistenza” o “ipertensione resistente apparente”.

In merito a quest’ultima, prima di diagnosticare l’ipertensione resistente vera, è necessario escludere le cause di pseudo-resistenza, che includono:

  • scarsa aderenza al trattamento farmacologico;
  • inadeguata tecnica di misurazione della pressione arteriosa (es. bracciale di dimensioni inappropriate, misuratori non validati);
  • “Pseudo-ipertensione” dovuta a vasi arteriosi rigidi, comune negli anziani;
  • effetto camice bianco, un aumento transitorio della pressione in ambiente clinico con valori normali al di fuori. Il monitoraggio ambulatoriale della pressione arteriosa (ABPM) o la misurazione domiciliare possono aiutare a identificarlo;
  • inerzia clinica da parte del medico nel modificare o intensificare la terapia quando necessario;
  • uso concomitante di farmaci o sostanze che possono aumentare la pressione arteriosa (es. contraccettivi orali, FANS, simpaticomimetici, corticosteroidi);
  • fattori dietetici, come eccessivo apporto di sodio e consumo di alcol;
  • condizioni concomitanti come obesità, diabete mellito e sindrome delle apnee ostruttive notturne (OSAS);
  • ipertensione secondaria non diagnosticata.

Giungere a una diagnosi accurata consente di sviluppare un piano terapeutico specifico per provare a contrastare l’aumento della pressione arteriosa e riportarla entro valori limite.

Quali sono le cause principali dell’ipertensione arteriosa resistente?

Non è sempre possibile identificare una singola causa responsabile dell’ipertensione arteriosa resistente, in quanto nella maggior parte dei casi essa ha una genesi multifattoriale, in cui intervengono componenti sia genetiche che ambientali.

Detto questo, una delle cause specifiche identificabili più frequenti è l’iperaldosteronismo primario, con tassi di prevalenza di circa il 20% nei pazienti con ipertensione resistente confermata, significativamente più alta rispetto all’8% registrato nella popolazione con ipertensione primaria.

Anche altre condizioni contribuiscono frequentemente all’ipertensione resistente, tra cui le seguenti:

  • l’obesità: è un fattore importante responsabile della crescente prevalenza di ipertensione e raddoppia approssimativamente il rischio di ipertensione apparente resistente al trattamento;
  • l’elevato apporto di sodio: è inequivocabilmente legato all’aumento della pressione arteriosa e, sebbene sia difficile quantificarne precisamente l’importanza come causa specifica di ipertensione resistente, diversi studi suggeriscono un ruolo significativo;
  • la sindrome delle apnee ostruttive notturne (OSA): è estremamente comune nei pazienti con ipertensione resistente, con tassi di prevalenza che raggiungono il 70-90%;
  • la malattia renale cronica (CKD): è frequentemente associata all’ipertensione resistente;
  • la stenosi dell’arteria renale: è un’altra causa secondaria comune, specialmente nelle fasce d’età più avanzate.

Per quanto complesso, individuare le possibili cause è di fondamentale importanza per giungere ad una diagnosi corretta.

Cosa succede se la pressione non si abbassa con i farmaci?

Le complicanze dell’ipertensione resistente sono significative e contribuiscono a una prognosi peggiore rispetto all’ipertensione ben controllata

L’ipertensione non controllata, inclusa quella resistente, danneggia le arterie nel tempo, portando al loro irrigidimento. Di conseguenza, il cuore deve lavorare di più per pompare il sangue attraverso il corpo.

Le principali complicanze sono le seguenti:

  • aumento del rischio di eventi cardiovascolari;
  • danno d’organo subclinico, che include ipertrofia ventricolare sinistra, ispessimento mio-intimale ed ateromasia carotidea, retinopatia ipertensiva, albuminuria, iniziale compromissione della funzione renale, nefroangiosclerosi;
  • aumento del rischio di specifiche condizioni cardiovascolari, come ictus, infarto miocardico, insufficienza cardiaca;
  • danno ad altri organi: oltre al cuore e ai vasi sanguigni, l’ipertensione non controllata può danneggiare reni, memoria e vista, e può contribuire alla disfunzione erettile.

La presenza di danno vascolare può ulteriormente ridurre la risposta alla terapia antipertensiva, instaurando un circolo vizioso che promuove un progressivo coinvolgimento multiorgano.

Come si cura l’ipertensione resistente?

Come già spiegato, prima di iniziare qualsiasi trattamento è fondamentale escludere le cause di pseudo-resistenza, dopodiché si può procedere con interventi non farmacologici e farmacologici, e in alcuni casi, con procedure invasive.

1. Terapia non farmacologica

Nei pazienti con ipertensione resistente, è cruciale incoraggiare l’aderenza a tutte le modifiche dello stile di vita raccomandate per la popolazione generale con ipertensione, ovvero:

  • calo ponderale in soggetti sovrappeso o obesi;
  • cessazione del fumo;
  • moderazione del consumo di alcol;
  • limitazione dell’assunzione di sodio, possibilmente a regimi più restrittivi della soglia canonica di 100 mEq/die in pazienti sensibili al sodio. Il rapporto sodio/potassio urinario può essere utile per valutare l’introito di sodio e l’ipertensione non controllata;
  • incremento dell’attività fisica regolare. Si raccomandano almeno 30 minuti di attività fisica per almeno 3 giorni a settimana.

Si consiglia di considerare anche il miglioramento della qualità del sonno e la mitigazione di fattori ambientali come freddo, rumore e inquinamento, sebbene la loro efficacia specifica nell’ipertensione resistente non sia ancora nota.

2. Terapia farmacologica

L’approccio farmacologico all’ipertensione resistente è graduale, e spesso richiede una combinazione di più farmaci con meccanismi d’azione complementari.

Ecco come si procedere:

  • ottimizzazione della terapia diuretica: questo è uno step fondamentale. In pazienti con funzionalità renale conservata, dovrebbe essere sempre impiegato un diuretico, preferibilmente a lunga durata d’azione. I pazienti con ridotta funzionalità renale (filtrazione glomerulare renale <40-50 ml/min), invece, dovrebbero essere trattati con un diuretico dell’ansa, con dosaggio adeguato e frazionato se necessario;
  • terapia di combinazione iniziale: nonostante la definizione di ipertensione resistente implichi l’assunzione di almeno tre antipertensivi, la scelta dei primi due farmaci è cruciale. Generalmente, si preferisce l’associazione di un farmaco diretto verso l’eccesso di sodio-volume (un diuretico o un calcio-antagonista diidropiridinico) con uno ad azione sul sistema renina-angiotensina-aldosterone (ACE-inibitore o antagonista recettoriale dell’angiotensina II);
  • terapia di triplice combinazione: nei pazienti con ipertensione arteriosa resistente, dovrebbe essere instaurata una terapia di combinazione comprendente almeno tre classi di farmaci, una delle quali deve essere un diuretico a dosaggio pieno. La combinazione raccomandata di prima linea si basa su un bloccante del sistema renina-angiotensina (ACE-inibitore o ARB), un diuretico (tiazidico o simil-tiazidico) e un calcioantagonista diidropiridinico a lunga durata d’azione;
  • aggiunta del quarto farmaco: in caso di mancato controllo dei valori pressori con la triplice combinazione, si può aggiungere un quarto farmaco mirato al meccanismo fisiopatologico prevalente;
  • ulteriori principi attivi: possono essere considerati antipertensivi ad azione centrale (clonidina) e antagonisti alfa-adrenergici (doxazosina) se non ancora utilizzati. Le associazioni di alfablocca
  • nte e calcioantagonista, betabloccante e diuretico possono essere efficaci;
  • sostituzione o incremento del dosaggio: in caso di mancata risposta, si può tentare la sostituzione di un farmaco con uno di categoria diversa o l’incremento della posologia dei farmaci già assunti, con particolare attenzione ai diuretici, per i quali l’aumento della dose può portare a un’ulteriore riduzione pressoria. Tuttavia, è necessario considerare il rischio di effetti indesiderati dose-dipendenti;
  • eliminazione dei farmaci non necessari: farmaci verso i quali non vi è stata risposta soddisfacente dovrebbero essere eliminati, specialmente se è stato raggiunto il controllo pressorio.

3. Terapie invasive

In pazienti con ipertensione resistente severa, nei quali sia stata esclusa ogni possibile causa reversibile e la terapia farmacologica ottimizzata non sia tollerata o efficace, si possono considerare metodiche invasive, tra cui le seguenti:

  • denervazione simpatica renale: mira a ridurre l’attività del sistema nervoso simpatico a livello renale;
  • stimolazione elettrica del baroriflesso: sfrutta la riduzione del drive ortosimpatico centrale per abbassare la pressione arteriosa.

Il ruolo di queste procedure è ancora limitato a casi specifici e richiede un’attenta valutazione specialistica.

Un monitoraggio attento e la collaborazione tra medico e paziente sono essenziali per migliorare il controllo pressorio e ridurre il rischio di complicanze cardiovascolari e renali associate a questa condizione.

ATTENZIONE:
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