Cos’è una embolia polmonare e come si affronta

da | Giu 17, 2025 | Salute

L’embolia polmonare è una condizione medica grave che si verifica quando una o più arterie dei polmoni vengono ostruite. L’ostruzione è quasi sempre causata da un coagulo di sangue (trombo) che si stacca dalle vene profonde delle gambe o della pelvi (una condizione nota come trombosi venosa profonda, o TVP) e viaggia attraverso il flusso sanguigno fino a raggiungere i polmoni. Più raramente, l’ostruzione può derivare da altri materiali, come bolle d’aria, gocce di grasso, liquido amniotico, cellule tumorali o aggregati infetti.

Quando un’arteria polmonare viene bloccata da un embolo, il flusso di sangue alla porzione di polmone corrispondente si riduce o si interrompe del tutto, compromettendo lo scambio di ossigeno, abbassando i livelli nel sangue e limitando l’apporto di nutrienti agli organi. 

L’ostruzione, inoltre, costringe il lato destro del cuore a un lavoro maggiore per pompare il sangue, mettendolo sotto sforzo. Nelle forme più gravi (definite embolie massive o ad alto rischio), il blocco può essere così esteso da impedire al cuore di pompare sangue a sufficienza, provocando un crollo della pressione, shock e, nei casi estremi, la morte improvvisa. In alcuni casi, l’occlusione può anche causare la necrosi (morte) di una parte del tessuto polmonare, un evento chiamato infarto polmonare.

Fortunatamente, l’organismo è spesso in grado di dissolvere autonomamente i coaguli più piccoli in pochi giorni o addirittura ore, limitando i danni. Quelli di dimensioni maggiori, invece, richiedono più tempo per essere riassorbiti. In una minoranza di pazienti, i coaguli non si dissolvono completamente, portando a complicazioni a lungo termine come la sindrome post-embolica o l’ipertensione polmonare tromboembolica cronica, condizioni che compromettono la prognosi e la qualità della vita.

L’embolia polmonare acuta è un problema sanitario di rilevanza globale, con un’incidenza variabile. Nonostante i progressi nella sua gestione, rimane una patologia spesso sottodiagnosticata e sottotrattata. La causa principale di questa difficoltà risiede nella varietà e aspecificità dei suoi sintomi, che possono essere facilmente confusi con quelli di altre malattie.

Una gestione tempestiva e basata sulle evidenze è quindi essenziale per migliorare gli esiti per i pazienti. 

Cause e fattori di rischio dell’embolia polmonare

Come accennato prima, nella quasi totalità dei casi, l’embolia polmonare è provocata da un coagulo di sangue (trombo) che, formatosi in un’altra parte del corpo, viaggia attraverso il flusso sanguigno fino a ostruire un’arteria polmonare.

Si parla, in questi casi, di trombosi venosa profonda (TVP). Quasi tutti gli emboli originano da trombi localizzati nelle vene profonde delle gambe o della pelvi, dove il flusso sanguigno tende a rallentare o a fermarsi

Il rischio che un coagulo si stacchi e viaggi verso i polmoni (embolizzazione) è particolarmente alto quando il trombo si estende fino alla vena poplitea (dietro il ginocchio) o più in alto. Una volta libero, l’embolo raggiunge il lato destro del cuore e da lì viene pompato nei polmoni. Più di rado, i coaguli possono formarsi nelle vene delle braccia o del torace, spesso a causa di cateteri venosi centrali, o direttamente nelle cavità destre del cuore.

La formazione di trombi è favorita da tre meccanismi principali, noti come triade di Virchow:

  • rallentamento del flusso sanguigno (stasi venosa): si verifica in condizioni di immobilità prolungata, come durante una degenza a letto, un lungo viaggio in aereo o in auto, o dopo un intervento chirurgico. In queste situazioni, l’azione della “pompa muscolare” del polpaccio, essenziale per spingere il sangue verso il cuore, viene a mancare;
  • alterata coagulabilità del sangue (ipercoagulabilità): la composizione del sangue può essere modificata da tumori, malattie infiammatorie, disturbi ereditari della coagulazione o dall’assunzione di terapie ormonali (come i contraccettivi);
  • danno alla parete della vena (danno endoteliale): lo strato interno delle vene può essere danneggiato da traumi, infezioni o interventi chirurgici.

Fattori di rischio legati a stile di vita e patologie

Diversi fattori, legati a condizioni mediche o abitudini personali, aumentano la probabilità di sviluppare una trombosi e, di conseguenza, un’embolia polmonare

Tra i più comuni troviamo:

  • età avanzata: il rischio cresce significativamente dopo i 60 anni, arrivando a colpire una persona su 100 tra gli anziani;
  • sovrappeso e obesità: un indice di massa corporea superiore a 25 è considerato un fattore di rischio, che diventa più marcato con valori superiori a 40;
  • fumo di sigaretta;
  • infezioni gravi: patologie come il COVID-19 possono scatenare un’infiammazione sistemica e uno stato di ipercoagulabilità che predispongono alla formazione di trombi;
  • sedentarietà e viaggi prolungati: stare seduti per ore senza muovere le gambe rallenta la circolazione;
  • colesterolo alto.

Fattori di rischio legati a procedure mediche

Anche interventi e procedure mediche possono rappresentare un rischio significativo.

In particolare:

  • chirurgia: grandi interventi chirurgici, specialmente quelli ortopedici prolungati (come la protesi d’anca o di ginocchio), aumentano notevolmente il rischio, soprattutto nei tre mesi successivi;
  • immobilizzazione: restare fermi a lungo per qualsiasi motivo (degenza post-operatoria, trauma, gesso) favorisce la stasi venosa e la formazione di trombi;
  • cateteri venosi centrali: La loro presenza può irritare la parete venosa e favorire la trombosi.

Patologie associate a un rischio elevato

Molte condizioni mediche preesistenti sono fattori di rischio ben noti. Ci riferiamo, in particolare, alle seguenti:

  • tumori: diverse forme di cancro aumentano la tendenza alla coagulazione;
  • malattie cardiache: insufficienza cardiaca, un precedente infarto o la fibrillazione atriale;
  • trombofilia: condizioni ereditarie o acquisite che rendono il sangue più propenso a coagulare;
  • gravidanza e post-partum: le alterazioni ormonali e la compressione delle vene pelviche aumentano il rischio;
  • traumi maggiori: fratture ossee importanti, in particolare di bacino, anca o gamba;
  • precedente tromboembolismo venoso (TEV): aver già sofferto di TVP o embolia polmonare è uno dei più importanti fattori di rischio per una recidiva.

Altre cause meno comuni di embolia

Sebbene più rari, esistono anche emboli di natura non trombotica. Questi includono:

  • grasso: rilasciato nel sangue in seguito a fratture di ossa lunghe o interventi di chirurgia estetica o bariatrica (liposuzione);
  • liquido amniotico: può entrare in circolo durante un parto complicato:
  • cellule tumorali: frammenti di un tumore possono staccarsi e viaggiare nel sangue;
  • bolle d’aria: possono entrare in circolo accidentalmente durante procedure mediche o a causa della malattia da decompressione (tipica dei sub);
  • materiale infetto: associato all’uso di droghe per via endovenosa o a infezioni delle valvole cardiache;
  • sostanze estranee: come talco o mercurio, iniettate volontariamente;
  • cemento osseo: una rara complicanza di interventi di vertebroplastica.

La valutazione di questi fattori di rischio, insieme ai sintomi del paziente, è il primo passo per sospettare un’embolia polmonare. In assenza di fattori predisponenti, la diagnosi diventa infatti meno probabile.

Sintomi e campanelli d’allarme dell’embolia polmonare

Abbiamo già accennato al fatto che i sintomi dell’embolia polmonare sono molto variabili e spesso ingannevoli. Poiché possono essere aspecifici e di intensità diversa, è facile confonderli con quelli di altre patologie comuni come polmonite, attacco cardiaco o asma

La gravità dei sintomi dipende principalmente dalle dimensioni dell’embolo e dalle condizioni generali del paziente. Un coagulo piccolo può anche non dare alcun sintomo, ma quando si manifestano, tendono a comparire in modo acuto.

I sintomi più comuni dell’embolia polmonare sono i seguenti:

  • mancanza di respiro (Dispnea): è il sintomo più frequente. Si manifesta come un affanno a insorgenza improvvisa o graduale, che peggiora con lo sforzo. A volte, la respirazione diventa molto rapida (tachipnea). Un peggioramento improvviso della dispnea, specialmente a riposo, è un importante campanello d’allarme;
  • dolore toracico: spesso si presenta come un dolore acuto al petto o alla schiena, che si intensifica durante l’inspirazione (dolore pleuritico);
  • battito cardiaco accelerato (Tachicardia): la sensazione che il cuore batta molto velocemente o in modo irregolare. È uno dei segni clinici più comuni;
  • stordimento o svenimento (Sincope): vertigini, stordimento o una vera e propria perdita di coscienza, sono sintomi tipici delle embolie più grandi;
  • tosse: solitamente secca o, più raramente, con tracce di sangue (emottisi), specialmente se si è verificato un infarto polmonare;
  • sintomi alla gamba: gonfiore, rossore, calore o dolore a una gamba, spesso accompagnati da una sensazione di pesantezza, sono i segni tipici della trombosi venosa profonda (TVP), la causa principale dell’embolia, anche se non è detto che si presentino;
  • altri segnali: febbre (in genere di lieve entità), sudorazione e un’intensa sensazione di ansia o paura di morire.

Nei casi più gravi (embolia massiva), possono comparire sintomi che indicano un’emergenza medica:

  • calo della pressione (Ipotensione): un drastico e pericoloso abbassamento della pressione sanguigna;
  • cianosi: colorito bluastro della pelle e delle labbra (grigiastro nella pelle scura) a causa della grave mancanza di ossigeno;
  • stato confusionale: soprattutto nelle persone anziane, può essere il primo e unico sintomo.

Vanno poi aggiunte alcune manifestazioni tipiche in contesti particolari, ovvero:

  • infarto polmonare: quando l’embolo causa la morte di una porzione di tessuto polmonare, i sintomi come dolore acuto, tosse con sangue e febbre si sviluppano nel giro di poche ore;
  • ipertensione polmonare cronica: se i coaguli non si dissolvono o si formano ripetutamente, nel tempo può svilupparsi una forma di ipertensione polmonare. Questa condizione si manifesta con affanno progressivo durante lo sforzo, gonfiore alle caviglie e stanchezza cronica.

Data l’aspecificità dei sintomi, è fondamentale non sottovalutarli. In presenza di una combinazione di questi segnali, in particolare una mancanza di respiro improvvisa, un dolore al petto che peggiora respirando o un senso di svenimento, è cruciale rivolgersi immediatamente a un medico o al pronto soccorso. Una diagnosi tempestiva è la chiave per un recupero completo.

Come si diagnostica l’embolia polmonare

Diagnosticare l’embolia polmonare è un processo complesso, poiché, come spiegato, i suoi sintomi sono molto variabili e spesso ingannevoli. 

Il percorso diagnostico si sviluppa per gradi, partendo dal sospetto clinico fino ad arrivare alla conferma tramite esami specifici.

Dal sospetto clinico alla valutazione della probabilità

Tutto inizia dal sospetto del medico, che valuta i sintomi del paziente (come affanno, dolore al petto e stordimento), i segni clinici (come battito e respiro accelerati) e la presenza di fattori di rischio noti

La difficoltà risiede nel fatto che questi segnali possono essere facilmente confusi con quelli di altre patologie, come polmonite o infarto.

La prima fase della valutazione include esami di base come la pulsossimetria (per misurare l’ossigeno nel sangue), la radiografia del torace (utile per escludere altre cause) e l’elettrocardiogramma (ECG), che può rivelare segni di affaticamento del cuore. 

Sulla base di tutti questi elementi, il medico stima la probabilità che si tratti effettivamente di embolia polmonare, avvalendosi talvolta di punteggi specifici (come gli score di Wells o di Geneva) ma soprattutto del proprio giudizio clinico.

Il ruolo del D-dimero

A questo punto, entra in gioco il test del D-dimero, un esame del sangue eseguito se la probabilità di EP è giudicata bassa o intermedia

Il D-dimero è una sostanza prodotta dalla dissoluzione dei coaguli. Un risultato negativo permette di escludere l’embolia con un alto grado di sicurezza, evitando al paziente ulteriori indagini.

Un risultato positivo, invece, non è una conferma definitiva, poiché i suoi livelli possono aumentare per molte altre ragioni (infezioni, traumi, gravidanza). Un D-dimero alto indica semplicemente la necessità di procedere con esami più approfonditi.

Gli esami diagnostici

Se il D-dimero è positivo o se la probabilità clinica iniziale è alta, si procede con esami di imaging per visualizzare direttamente le arterie polmonari e confermare la diagnosi.

Nello specifico, il medico può prescrivere i seguenti esami:

  • Angio-TC polmonare: è l’esame di prima scelta. Si tratta di una TAC con mezzo di contrasto rapida, accurata e non invasiva, in grado di mostrare chiaramente i coaguli nelle arterie. Fornisce anche informazioni preziose sulla gravità del quadro, valutando l’eventuale sofferenza del cuore;
  • scintigrafia polmonare ventilo-perfusoria (V/Q): è un’alternativa valida, utile soprattutto quando l’Angio-TC è sconsigliata (ad esempio in caso di insufficienza renale o in gravidanza). Questo esame confronta le aree dei polmoni che ricevono aria con quelle che ricevono sangue. Una discrepanza tra le due mappe è altamente suggestiva di un’embolia.

A completare il quadro diagnostico e a definire la gravità della condizione contribuiscono altri esami:

  • ecografia degli arti inferiori: rileva la presenza di una trombosi venosa profonda (TVP), la causa più comune dell’embolia. In alcuni pazienti con sintomi lievi, confermare la TVP può essere sufficiente per iniziare subito la terapia anticoagulante;
  • ecocardiogramma: valuta la funzione del cuore, in particolare del ventricolo destro, per capire se è sotto sforzo a causa dell’ostruzione. È un esame cruciale per stabilire la gravità e guidare le scelte terapeutiche;
  • biomarcatori cardiaci: il dosaggio di sostanze come la troponina e il BNP nel sangue può indicare un danno cardiaco e aiuta a stratificare ulteriormente il rischio del paziente;
  • test per la trombofilia: in casi selezionati (pazienti giovani, episodi ricorrenti o senza cause apparenti), possono essere richiesti test specifici per ricercare eventuali disturbi ereditari della coagulazione.

La tempestività in ogni fase è cruciale per garantire il miglior esito possibile per il paziente.

Come si cura l’embolia polmonare

La gestione dell’embolia polmonare è un percorso complesso, che varia in base alla gravità del quadro clinico e richiede un approccio personalizzato. Idealmente, le decisioni vengono prese da un team multidisciplinare specializzato, denominato PERT (Pulmonary Embolism Response Team), che coordina le diverse opzioni terapeutiche.

Il trattamento si fonda sulla terapia farmacologica, mentre gli interventi più invasivi sono riservati ai casi più gravi o quando le terapie standard falliscono o sono controindicate.

Terapie di supporto: stabilizzare il paziente

Il primo passo è stabilizzare il paziente e alleviare i sintomi. Si somministra ossigeno per correggere i bassi livelli nel sangue e si usano analgesici per gestire il dolore. 

Nei casi di insufficienza respiratoria grave, può essere necessaria la ventilazione meccanica.

Per i pazienti con pressione bassa (ipotensione), si interviene con un supporto emodinamico, che include liquidi per via endovenosa e farmaci vasopressori (come la noradrenalina) per ripristinare la pressione. 

Nelle situazioni più critiche, con shock cardiogeno refrattario, si può ricorrere a un supporto meccanico come l’ECMO veno-arterioso, un sistema di ossigenazione extracorporea che agisce come ponte verso terapie più definitive.

Terapia anticoagulante

La terapia anticoagulante rappresenta il pilastro fondamentale del trattamento. Il suo obiettivo non è dissolvere i coaguli esistenti, ma impedire che si ingrandiscano e che se ne formino di nuovi

Va iniziata senza indugio, non appena la diagnosi è confermata o fortemente sospettata.

Le opzioni per la fase iniziale includono:

  • eparina a basso peso molecolare o Fondaparinux: somministrati per via sottocutanea, sono spesso la scelta d’elezione per la loro efficacia prevedibile e la facilità di gestione;
  • anticoagulanti orali diretti: alcuni farmaci possono essere usati fin da subito, mentre altri richiedono un breve trattamento iniziale con eparina. Offrono il vantaggio di essere assunti per via orale, con dosaggi fissi e un minor rischio di sanguinamento rispetto alle terapie tradizionali;
  • eparina non frazionata: somministrata per via endovenosa, agisce rapidamente e ha un’emivita breve. È utile in situazioni ad alto rischio emorragico o quando si prevedono interventi invasivi, ma richiede un monitoraggio costante in ospedale.

Superata la fase acuta, si prosegue con una terapia di mantenimento, per prevenire le recidive. La durata del trattamento varia da un minimo di tre mesi (se la causa è un fattore di rischio transitorio, come un intervento chirurgico) fino a una terapia a tempo indeterminato (in caso di embolia non provocata, tumore o episodi ricorrenti).

Terapie riperfusive avanzate

Nei pazienti più gravi (a rischio alto o intermedio-alto) o quando la terapia anticoagulante non è sufficiente, si ricorre a terapie avanzate mirate a rimuovere o dissolvere l’ostruzione.

Le opzioni principali sono le seguenti:

  • trombolisi sistemica: consiste nell’infusione di farmaci “rompi-coaguli” per via endovenosa. È il trattamento di prima scelta per i pazienti ad alto rischio (con instabilità emodinamica), ma comporta un significativo rischio di sanguinamento;
  • terapie transcatetere (percutanee): queste tecniche, meno invasive della chirurgia, prevedono l’inserimento di cateteri fino alle arterie polmonari. Le opzioni includono la tromboaspirazione meccanica, che rimuove fisicamente i coaguli, e la trombolisi loco-regionale, che infonde una bassa dose di farmaco direttamente sul trombo (anche con l’ausilio di ultrasuoni) per massimizzare l’efficacia e ridurre i rischi;
  • embolectomia chirurgica: è un intervento a cuore aperto per la rimozione chirurgica dei coaguli. Viene riservato a casi altamente selezionati, come i pazienti con embolia massiva che non possono ricevere la trombolisi o non rispondono ad essa. È una procedura complessa, da eseguire in centri ad alta specializzazione.

Filtro nella vena cava inferiore

Il filtro cavale è un dispositivo che viene preso in considerazione solo in circostanze specifiche: quando il paziente ha una trombosi venosa profonda ma non può assumere anticoagulanti, o in caso di embolie ricorrenti nonostante una terapia adeguata. 

Il filtro viene posizionato nella vena cava inferiore per intercettare eventuali nuovi coaguli provenienti dalle gambe prima che possano raggiungere i polmoni.

Sarà il team medico a stabilire come procedere e individuare l’opzione più adatta alle esigenze del paziente. 

Domande frequenti (FAQ)

Cos’è l’embolia polmonare?

È l’ostruzione di una o più arterie nei polmoni, solitamente causata da un coagulo di sangue (trombo) che si stacca da altre parti del corpo, più spesso dalle vene delle gambe o del bacino. Questa ostruzione impedisce il corretto flusso sanguigno e scambio di ossigeno nei polmoni.

Quali sono le cause più comuni dell’embolia polmonare?

La causa più comune è un coagulo di sangue (trombo) formatosi in una vena profonda, tipicamente nelle gambe (trombosi venosa profonda). Fattori di rischio includono ridotta mobilità, interventi chirurgici recenti (specie ortopedici), cancro, gravidanza, terapia ormonale e disturbi della coagulazione.

Come si manifesta l’embolia polmonare (sintomi)?

I sintomi sono vari e spesso aspecifici, dipendendo dalla gravità e dallo stato di salute del paziente. Possono includere improvvisa mancanza di fiato, dolore toracico (spesso peggiorato dalla respirazione), battito cardiaco accelerato, tosse (a volte con sangue), vertigini o svenimento.

Come viene diagnosticata l’embolia polmonare?

La diagnosi si basa sul sospetto clinico, fattori di rischio e test specifici. L’esame di prima scelta è l’angio-TC polmonare (CTPA), che visualizza i coaguli. Altri test includono l’esame del D-dimero (utile per escludere l’EP nei casi a bassa probabilità clinica), la scintigrafia ventilo-perfusoria e l’ecografia delle gambe.

Quali sono le principali opzioni di trattamento per l’embolia polmonare?

Il trattamento inizia con terapia di supporto (ossigeno, fluidi, farmaci per la pressione se bassa). Il pilastro della terapia è l’anticoagulazione, per prevenire l’ingrandimento dei coaguli e la formazione di nuovi. In casi selezionati, si possono usare terapie più avanzate come la trombolisi (farmaci “rompi-coaguli”) o procedure transcatetere/chirurgiche.

Cos’è la terapia anticoagulante e quanto dura?

La terapia anticoagulante (“fluidificanti del sangue”) utilizza farmaci come eparina, fondaparinux, warfarin o Anticoagulanti Orali Diretti (DOAC) per ridurre la capacità di coagulazione del sangue. La durata varia, da un minimo di 3 mesi (per cause transitorie) a tempo indeterminato (per EP non provocata, cancro, o trombofilia), a seconda del rischio di recidiva e sanguinamento.

Quando vengono considerate le terapie riperfusive avanzate (transcatetere o chirurgiche)?

Sono considerate in pazienti a rischio alto (con instabilità emodinamica), in alcuni casi a rischio intermedio-alto (con segni di disfunzione del ventricolo destro/danno miocardico) che si deteriorano clinicamente o non rispondono all’anticoagulazione, o in presenza di controindicazioni alla trombolisi sistemica. Le opzioni transcatetere includono tromboaspirazione/trombectomia e trombolisi loco-regionale.

Cos’è un PERT e qual è il suo ruolo?

Il PERT (Pulmonary Embolism Response Team) è un team multidisciplinare (cardiologi, radiologi interventisti, chirurghi, pneumologi, ecc.). Viene attivato per i pazienti con EP severa, specialmente ad alto o intermedio-alto rischio. Il suo ruolo è valutare rapidamente il caso, stratificare il rischio e prendere decisioni tempestive e appropriate sulle terapie più avanzate, migliorando la gestione e gli esiti.

ATTENZIONE:
Le informazioni qui riportate hanno carattere divulgativo e orientativo, non sostituiscono la consulenza medica. Eventuali decisioni che dovessero essere prese dai lettori, sulla base dei dati e delle informazioni qui riportati sono assunte in piena autonomia decisionale e a loro rischio.