Nell’ambito del “Contributo straordinario per i casi di non-autosufficienza”, il Fondo Enfea Salute liquida le spese sanitarie e/o l’erogazione di servizi di assistenza per stati di grave inabilità causati da infortunio (sul lavoro) che determina un’invalidità permanente superiore al 50%, oppure causati da alcune patologie, tra cui il trapianto di fegato, insieme a:
- ictus;
- sclerosi multipla;
- postumi di gravi interventi chirurgici invalidanti;
- paralisi;
- trapianto cuore, polmone, rene, midollo spinale o pancreas;
- fibrosi cistica;
- ischemia arterie vertebrali.
Secondo il “Report donazione e trapianto di organi, tessuti e cellule – L’attività della Rete Nazionale Trapianti nel 2021”, dopo la riduzione dell’attività di donazione e trapianto del 2020 a causa della prima ondata della pandemia, nel 2021 la Rete trapianti è riuscita a riorganizzarsi nel nuovo contesto emergenziale con un recupero completo, registrando un incremento del 12,3% nelle donazioni di organi e del 10,4% nei trapianti.
L’attività di trapianto di fegato da donatore deceduto è aumentata, toccando quota 1.359 interventi nel 2021, il 15% in più rispetto al 2020 (1.182), mentre quella da donatore vivente è cresciuta in maniera significativa (+85%), raggiungendo livelli mai ottenuti in precedenza.
Approfondiamo insieme, e cerchiamo di capire come viene eseguito un trapianto di fegato e quando si opta per questa soluzione.
Di cosa parliamo in questo articolo
In cosa consiste il trapianto di fegato
Come per altri organi e tessuti, il trapianto di fegato consiste in un intervento chirurgico finalizzato alla sostituzione del fegato malato con uno sano.
Nella maggior parte dei casi il fegato viene prelevato da un donatore deceduto, che ha acconsentito alla donazione degli organi quando era in vita (oggi è possibile farlo in fase di rinnovo della carta di identità o iscrivendosi presso un apposito registro nazionale), ma può provenire anche da un donatore in vita, solitamente un familiare o un soggetto compatibile.
Infatti, il fegato è l’unico organo del corpo che può sostituire il tessuto perso o danneggiato, ovvero autorigenerarsi; di conseguenza è possibile, per un donatore in vita e in buona salute, donare una porzione del proprio fegato, senza incorrere in limitazioni e problemi di salute in futuro.
Il fegato del donatore tornerà presto alle dimensioni normali dopo l’intervento chirurgico, così come quello trapiantato, in genere dopo poche settimane.
I diversi tipi di trapianto al fegato
Secondo quanto riportato dal Centro Trapianti di fegato del Policlinico Sant’Orsola di Bologna, una delle eccellenze italiane in questo ambito, esistono diverse tipologie di trapianto di fegato possibili:
- trapianto da donatore cadavere a cuore battente (DBD), che avviene quando il soggetto è in una condizione di morte cerebrale;
- trapianto da donatore cadavere a cuore fermo (DCD), in seguito all’accertamento di morte del soggetto con criteri cardiaci;
- trapianto split: approfondiremo questa tecnica nel prossimo paragrafo;
- trapianto ausiliario, ovvero inserendo il fegato sano in una sede differente, lasciando quello malato in sede. Si parla, in questo caso, di trapianto eterotopico di fegato, che si contrappone al trapianto ortotopico. Si tratta di una opzione utilizzata molto raramente, ancora in via sperimentale;
- trapianto combinato, ovvero quando si esegue il trapianto di due organi, il fegato e un altro, solitamente cuore, rene, intestino;
- trapianto domino: come con le tessere del domino, in questo caso si riesce a salvare due persone con un solo fegato sano. In che modo? Il donatore non più in vita fornisce un organo sano che viene impiantato in un paziente che ne ha diritto. Il fegato malato di quest’ultimo, poi, viene donato a un paziente più anziano, la cui aspettativa di vita è ridotta, e che può quindi giovarsi del trapianto senza sperimentare gli effetti collaterali derivanti dall’organo malato;
- trapianto da donatore vivente, che può donare una porzione del proprio fegato al ricevente, potendo contare sulla capacità di quest’organo di autorigenerarsi, come già spiegato prima.
Per ricevere un organo, però, è necessario essere inseriti nelle liste d’attesa, secondo dei parametri che vedremo più avanti. Ovviamente questo non vale nel caso in cui il donatore sia vivente e decida, per vincoli di parentela o di legame con il malato, di donare il proprio fegato direttamente.
La tecnica Split-Liver
Esiste, infine, una terza modalità di trapianto del fegato, il cosiddetto “trapianto di fegato mediante tecnica Split-Liver”. Liver è il termine inglese per indicare il fegato, mentre split significa diviso (dal verbo to split, dividere).
In cosa consiste? Qualora il donatore abbia espresso in vita la volontà di donare gli organi, il suo fegato può essere diviso chirurgicamente in due parti:
- emifegato destro, più grande;
- emifegato sinistro, più piccolo.
Questa divisione del fegato in due parti è possibile perché ciascuno dei due lobi ha una propria vascolarizzazione arteriosa e venosa e drena la bile attraverso due dotti principali, destro e sinistro, che si uniscono solo nel loro ultimo tratto al di fuori del fegato.
Secondo il “Protocollo sulle procedure di split liver convenzionale in ambito nazionale”, è previsto che l’emifegato sinistro sia trapiantato in un malato pediatrico (di età inferiore ai 18 anni) e l’emifegato destro in un adulto, ma è anche possibile che i trapianti siano effettuati in due malati adulti.
Il 2021 ha registrato una lieve flessione dell’attività di trapianto con tecnica split-liver (80 procedure, -11% rispetto al 2020) mantenendosi comunque su livelli più elevati rispetto al biennio precedente la pandemia. Dalle 80 procedure di split-liver, sono stati eseguiti 36 trapianti su ricevente adulto e 44 su ricevente pediatrico (età inferiore ai 18 anni).
Perché ricorrere ad un trapianto di fegato?
L’uomo non può vivere senza il fegato, quindi quando questo organo non è più in grado di svolgere le sue funzioni essenziali l’unica opzione consiste nel trapianto.
Ovviamente, prima di ricorrere alla sostituzione dell’organo è necessario diagnosticare la patologie e provare, con le cure e i trattamenti disponibili, a ripristinarne il funzionamento, ma quando questo non è possibile allora si può procedere in tal senso.
Le principali condizioni che potrebbero causare una grave insufficienza epatica sono le seguenti.
- Insufficienza epatica cronica: una malattia epatica allo stadio terminale.
- Cirrosi: una malattia epatica cronica allo stadio terminale. Succede quando il tessuto epatico sano viene sostituito con tessuto cicatriziale, che impedisce al fegato di funzionare correttamente.
- Necrosi epatica acuta: una condizione caratterizzata dalla morte del tessuto epatico, provocata da varie cause, come infezioni acute e reazioni a farmaci, droghe o tossine.
- Atresia biliare: una rara malattia del fegato e dei dotti biliari che si verifica nei neonati.
- Epatite virale: le più comuni sono la B e la C.
- Malattie metaboliche: disturbi che modificano l’attività chimica nelle cellule colpite dal fegato.
- Tumori primari del fegato;
- Epatite autoimmune: un’infiammazione del fegato provocata dal sistema immunitario che attacca l’organo sano.
Procedura pre trapianto
Prima di sottoporsi a un trapianto di fegato è necessario non solo che il paziente sia in condizioni tali da poter affrontare un intervento chirurgico invasivo, ma anche che il donatore (se vivo) e l’organo da impiantare siano sani e compatibili.
Come si procede?
- Si verifica la presenza dei requisiti per l’indicazione al trapianto di fegato.
- Si verifica la presenza di eventuali patologie o situazioni morbose che possono controindicare il trapianto.
- Si verifica l’attitudine psicologica del paziente e del gruppo familiare al percorso trapianto.
- Si valuta la presenza di eventuali indicazioni a trattamenti chirurgici o interventistici alternativi che possono posticipare o rimuovere l’indicazione al trapianto.
A questo punto, se il team medico stabilisce la necessità per il paziente di ricevere un trapianto di fegato, viene inserito in una lista d’attesa.
La priorità del paziente in lista d’attesa si basa sui punteggi MELD e ISO score 2.0.
- MELD (Mayo End stage Liver Disease): sistema di punteggio per valutare la sopravvivenza dei pazienti con cirrosi e insufficienza epatica terminale. Nei pazienti pediatrici si utilizza il sistema PELD (Pediatric End-Stage Liver Disease);
- ISO score 2.0: basato sullo score MELD, fornisce un criterio di priorità a tutte quelle condizioni cliniche considerate come “eccezioni al MELD” e agli epatocarcinomi, soprattutto quando insorti su uno stadio di cirrosi compensata.
In base alla gravità della condizione di salute del paziente si attribuisce quindi un punteggio, che determina la graduatoria in lista d’attesa. In Italia, il tempo medio di attesa in lista per un trapianto di fegato è di 1 anno e 6 mesi per la lista standard e di 1 anno per la lista pediatrica.
Durante il periodo di permanenza nella lista d’attesa il paziente deve sottoporsi a controlli periodici, in genere ogni 3 mesi o quando il medico lo ritiene opportuno, che consistono in:
- emocromo;
- piastrine;
- azotemia;
- creatinina;
- sodio;
- potassio;
- glicemia;
- albuminemia;
- tempo di Quick;
- colinesterasi;
- bilirubina;
- GOT;
- GPT;
- gamma GT;
- fosfatasi alcalina;
- alfafetoproteina;
- esame delle urine;
- markers epatite B e HBV-DNA;
- ecografia addominale con MDC o TAC addome, ed eventualmente TAC torace.
Intervento chirurgico e degenza
Quando c’è un match tra donatore e soggetto presente nella lista d’attesa – o quando il donatore vivente decide di donare il suo fegato – si può procedere con l’intervento chirurgico, non prima di aver verificato la compatibilità del gruppo sanguigno e dei parametri antropometrici, la gravità e compatibilità clinica e il tempo di permanenza in attesa.
Le controindicazioni assolute al trapianto di fegato sono le seguenti:
- elevata pressione endocranica (> 40 mmHg) o bassa pressione di perfusione cerebrale (< 60 mmHg) in pazienti con necrosi epatica fulminante;
- grave ipertensione polmonare (pressione arteriosa polmonare media > 50 mmHg);
- sepsi;
- carcinoma epatocellulare avanzato o metastatico.
Tutte queste condizioni portano a risultati negativi durante o dopo il trapianto.
Se tutto è nella norma, il ricevente viene convocato in ospedale e ricoverato per sottoporsi all’intervento, dopo il quale viene portato in un reparto di terapia intensiva e monitorato costantemente. Quando le condizioni del paziente migliorano e non sarà più necessario il monitoraggio continuo dei parametri vitali, il paziente potrà essere trasferito nelle comuni stanze di degenza.
Durante la permanenza in ospedale il paziente verrà sottoposto a uno schema terapeutico che prevede una terapia immunosoppressiva, delle profilassi contro le infezioni e contro le trombosi acute, fisioterapia e un regime di dieta e alimentazione adeguato.
La vita dopo il trapianto
Al termine del ricovero, il paziente in buone condizioni potrà essere dimesso e tornare nella propria abitazione, dovendo comunque sottoporsi a una serie di controlli periodici per monitorare lo stato di salute e per modificare il dosaggio degli immunosoppressori, che dovrà assumere per il resto della sua vita.
L’obiettivo, ovviamente, è quello di evitare le complicanze di un trapianto di fegato, ovvero:
- rigetto del nuovo organo trapiantato da parte del proprio corpo;
- assenza di ripresa funzionale da parte del nuovo fegato, che può essere tale da rendere necessario in tempi molto brevi un nuovo trapianto di fegato;
- aumento del rischio di infezioni;
- danneggiamento della funzionalità dei reni.
Per fortuna, la prospettiva di vita dopo un trapianto di fegato è buona. In media, più di 9 persone su 10 sopravvive dopo un anno dall’intervento, circa 8 su 10 persone vivono almeno altri 5 anni e molte persone riescono a vivere per 20 anni o anche di più (dati forniti da issalute.it).